Anime Black Jack Dieci indagini nel buio
A cura di Paul V
Titolo edizione italiana: Black Jack - Dieci indagini nel buio
Regista: Dezaki Osamu, Mushi Production
Anno di produzione: 1993
In Italia trasmessi sul canale Hiro dal: 29 giugno al 24 luglio 2009
Codice Area: Area 2
Edizione italiana DVD: Yamato Video
Episodi: 10 OAV
Curiosità: il character design è di Akio Sugino.
Una coppia di ragazze muore in circostanze misteriose e la loro amica sopravvissuta all’incidente soffre di una malattia inspiegabile. Un’attrice di successo è colpita da una strana forma di anoressia. In un piccolo e arcaico paesino, un giovane uomo è in preda a incubi e allucinazioni visive, forse legate a un’antica leggenda che narra della morte di una donna e del canto ipnotico di una civetta.
A partire dal 1993 la Tezuka Productions intraprende la felice realizzazione di una miniserie di dieci episodi, autoconclusivi e dall’alto standard qualitativo, che avrebbe portato il fortunatissimo personaggio cartaceo di Black Jack nato dalla mano del “dio dei manga” sugli schermi televisivi.
Lo fa avvalendosi di nomi prestigiosi dell’animazione nipponica, quali Osamu Dezaki per la regia e Akio Sugino per il character design. L’impronta registica e stilistica di artisti dell’animazione di tale calibro è destinata a farsi sentire, trasformando il personaggio del medico senza licenza più famoso, così come ci eravamo abituati a conoscerlo sulla carta, in qualcosa di diverso, tanto da renderlo, a tratti, pienamente autonomo dall’originale tezukiano.
Se questo sia un bene o un male sta al singolo spettatore deciderlo: la personalità del dottore con la cicatrice cambia in linea con il cambio stilistico; la rotondità tipica di Osamushi lascia il posto a una linea più dura che si stava affermando proprio nell’animazione giapponese degli anni Novanta (per poi arrivare alle eccessive spigolosità di certi prodotti dell’animazione più recente), ovvero il personaggio di Black Jack di Osamushi, dalla dura moralità, rappresentato mediante un tratto tondo e caldo, essenziale ed equilibrato, e al contempo vibrante e capace di soluzioni rivoluzionarie per il tempo – come il taglio cinematografico di talune vignette – perfetto per delineare una personalità ambigua e ambivalente, lascia il posto a un nuovo Black Jack, circondato da un’atmosfera più cupa, quasi hardboiled, che mira a una elevata drammaticità, anche nei suoi aspetti più esteriori, visivi e spettacolari.
Non poteva essere altrimenti, dato che le mani sono quelle del regista di Versailles no bara e del character designer di Oniisama e…; il risultato può essere giudicato positivo o negativo a seconda del punto di vista: per lo spettatore che avrebbe preferito un’ortodossa fedeltà all’originale, il Black Jack degli OAV, e non tanto il personaggio in sé, piuttosto simile al modello cartaceo nella sua compostezza nell’affrontare il dolore dei suoi pazienti e le operazioni chirurgiche, quanto più l’atmosfera tragica che lo circonda, può risultare eccessivamente urlato e spettacolarizzato, per colui, invece, che vuole da una versione audiovisiva di un fumetto, tra l’altro ben poco recente, anzi storico e ormai facente parte di un immaginario collettivo, una rivisitazione e una resa in cui siano ben visibili i tratti, le motivazioni e le personalità del team di animazione, allora questa miniserie non lo deluderà di certo.
La crudezza e la drammaticità che nel fumetto di Tezuka scaturivano, in maniera composta e dall’uso, nuovo e rivoluzionario per l’epoca, della vignetta, pur conservando una linea tondeggiante e a tratti caricaturale – anche se meno disneyana rispetto a quella della produzione per bambini e ragazzi, come Kimba e Zaffiro, ma non ancora realistica, sottile e quasi spezzata come quella dei Tre Adolf – con esiti comici e tragicomici, nelle Dieci indagini nel buio emergono da una regia che fa propri espedienti tipicamente cinematografici come gli stills (i fermo-immagine, con una squisita e a effetto colorazione a pastello che li rende dinamici grazie a un cromatismo filamentoso e mosso, sono tipici del duo Dezaki-Sugino, basti vedere i numerosissimi stills, quasi al limite del parossismo, in Caro Fratello), e un utilizzo tragico-filmico della colonna sonora.
Brani musicati e semplici suoni contribuiscono non poco all’atmosfera dark della serie complessiva: con risultati eccelsi in alcuni episodi, dove melodie ripetute e collocate con maestria nei momenti più opportuni finiscono quasi per ipnotizzare il telespettatore (La civetta di San Merida, il mio episodio preferito, è un tipico esempio di questo uso magistrale della musica, soprattutto perché si poggia su un motivetto, una sorta di ninna nanna perfettamente in linea con l’atmosfera arcaica e rurale del piccolo paesello in cui è ambientato l’episodio – e con il tema della maternità, affrontato nei suoi aspetti più ancestrali ed eterni, tanto che l’episodio può sembrare, oltre che una fiaba, una tragedia greca collocata nella storicità della seconda guerra mondiale – che per alcuni giorni ti abiterà nelle orecchie… o almeno a me è successo così).
Insomma, i Black Jack OAV sono da considerarsi un’elaborazione dell’originale cartaceo, condotta attraverso una personalità registica piuttosto forte e ben riconoscibile, che mira alla distinzione stilistica rispetto alla mano di Osamushi: qualcuno potrebbe dire che questi OAV si inseriscono in una certa temperie degli anni Novanta, quella del thriller, dell’hardboiled, del dark a tutti i costi, ma il risultato riscosso, specie in alcuni episodi, mi fa affermare che non tutte le tendenze sono nocive se sapientemente piegate a un’idea e a un progetto. E l’idea di Dezaki è quella di una accentuazione degli aspetti crudi e cupi più che presenti nel fumetto, differenziandosi dall’equilibrio di Osamushi e puntando a una regia a tratti esasperata che fa fuoriuscire il dramma dall’interno del personaggio di Black Jack (nel fumetto il dramma sembra volersi trattenere entro il personaggio protagonista e le sue enigmatiche espressioni facciali, a cui fa da controparte la spensieratezza di Pinoko) verso l’esterno delle ambientazioni notturne, delle luci soffuse e tremolanti, degli stills che preannunciano una tragedia imminente, dei suoni bruschi e improvvisi come delle frequenti soffiate di vento che ci rimandano a certa animazione di “target femminile”.
In fondo chiedersi se questa versione animata regga il confronto con l’indimenticato originale cartaceo non conduce molto lontano: sono due prodotti sostanzialmente diversi. Non ha nemmeno senso chiedersi quale dei due “drammi” che i due Black Jack, quello animato e quello di Osamushi, incorporano e trasmettono, sia quello più riuscito, se quello interiore, composto e vibrante al contempo di Tezuka o quello più esteriore e parossistico di Dezaki, poiché sono soltanto due modalità di rappresentazione tragica differenti. Semmai è doveroso riconoscere al duo Dezaki-Sugino la capacità di riportare temi tipicamente tezukiani, di forte impatto critico, dal dramma psicologico al dramma collettivo (un episodio può affrontare l’anoressia e il senso di inadeguatezza, quello successivo può operare un vertiginoso cambio di rotta portandoci nel bel mezzo di una guerra civile in medio oriente) adattandoli magari alle nuove tendenze thriller e spettacolari che si affermavano in quegli anni.